La scuola elementare
Il 1° Ottobre 1967 feci il mio ingresso alla scuola elementare Francesco Crispi, adiacente all’ asilo. La nostra maestra (in quanto allora era una sola maestra che per 5 anni avrebbe seguito la classe) era la maestra Tosca Giunti. Giunti era il cognome da sposata in quanto allora si usava il cognome da coniugata. La maestra Giunti , di origine Toscana ma senza una benché minima inflessione di lingua, era una dinamica e risoluta insegnante che sapeva tenere e gestire la classe. Allora tutti avevamo il nostro grembiule blue e le bambine rosa. Mi colpirono i banchi di scuola che avevano un buco tondo che mi dissero serviva un tempo per inserire i calamai per l’ inchiostro di scrittura. Da quel giorno quando si incontrava qualcuno scattava una delle domande più odiate: "Ti piace andare a scuola ?" Col tempo ho imparato quale sarebbe stata la risposta corretta, risposta che ho poi insegnato ai miei figli che l’hanno assimilata e fatta loro: "E’ il mio lavoro.." Infatti come il lavoratore percepisce un pagamento per la prestazione eseguita, anch’ io ricevevo un compenso se portavo a casa dei 10 nelle varie attività svolte. 50 lire ogni 10 significava poter comprare 5 bustine del nuovo catalogo Panini dei calciatori. Ho sempre ritenuto che creare le edicole vicino alle scuole fosse fatto solo per quello. Da lì partivano poi a ricreazione le trattative di scambio con le famose litanie " ciel’ ho – manca ". Unico altro nostro insegnante era per religione Don Andrea. Don Andrea della parrocchia dei Salesiani era un miracolato. Cieco dalla nascita aveva riacquistato la vista e scoperta la sua vocazione si era fatto sacerdote nell’ ordine dei Salesiani di Don Bosco. Di origine emiliana scorrazzava in lungo ed in largo nel quartiere, sempre con un sorriso soave, a portare conforto e buone parole, a bordo di quella che lui chiamava la sua "Ferrari", che altro non era che la classica olandesina nera alla "Don Matteo" con i freni a bacchetta. Una volta gli rubarono la bicicletta (che poi venne fortunatamente ritrovata) e parlando a noi del 7° comandamento disse con la sua proverbiale e disarmante candidezza : " Se la bicicletta è mia , perchè me la devono rubare ? .. E’ la mia…" Ma il passaggio alla scuola elementare comportava anche un passaggio di possibilità di esperienze. Cominciai così a mettere per la prima volta le mani sul 1100 . Il mio compito era la pulizia con spugna, acqua e shampo dei cerchi ruota. Ho ancora presente l’adesivo giallo del gommista di allora, Rocco Lanzini, che era incollato su tutti i cerchi per attestare che le ruote erano state verificate. Il 19 marzo (allora festa del papà) S. Giuseppe (festa nazionale) era la giornata in cui si celebrava il prossimo arrivo della primavera (che allora era abbastanza puntuale). L’ arrivo della 500 ci portò ad inaugurare una tradizione che era quella di andare all’ inizio di Via Amba d’ Oro, parcheggiare la 500 davanti alla Villa Pietra , una antica villa di proprietà allora di un importante industriale della siderurgia locale, e poi salire a piedi al Patrocinio di S. Giuseppe una antica chiesina che dominava un angolo del Monte Maddalena. Allora questa salita non era tutta delimitata da cartelli "proprietà privata", "attenti ai cani" ecc.e si poteva entrare in terreni dove oltre alla vista della sottostante città, oltre a respirare un’ aria più tersa, si poteva giocare e fare pic nic. In alternativa si andava a trovare al Villaggio Prealpino la Zia Pina e la Zia Ada , due sorelle del nonno Raffaele che abitavano nelle classiche villette bifamiliari di Padre Marcolini .
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Omaggio a Martin Luther King
Il 4 aprile 1968 veniva assassinato a Memphis il pastore battista Martin Luther King, premio Nobel per la pace. Come con la sua vita aveva scosso milioni di coscienze, con la sua morte confermò che bisognava continuare a combattere contro il razzismo e schierarsi con fermezza contro le inutili guerre. Sono passati 40 anni, grazie al suo messaggio che ci ha lasciato, molta strada è stata fatta , ma non bisogna abbassare la guardia..
La 500 F dello Zio Franco
Anche lo Zio Franco prese la 500 F. Lui fu più fortunato e riuscì ad averla acquamarina. La sua era targata BS221561. La sua personalizzazione consistette nelle seguenti modifiche: rostri ai paraurti, adesivo nero sulle due righe di congiunzione frontale parafanghi, antenna nell’ angolo del frontale a dx, autoradio Voxon, griglia aerazione posteriore riverniciata di nero, coprivolante nero, coprileve interruttori allungate. Per completare il look sportivo tolse le coppe ruote .
La casa di Lazzate (MI)
Cominciarono anche visite più frequenti a Lazzate che diventò e lo sarà fino al 1980 una tappa fissa dei Lunedì di pasquetta. Il periodo favoriva l’ attraversamento della frontiera di Chiasso dove subito dopo si trovavano stazioni di servizio dove fare benzina, spendendo la metà di quello che si spendeva in Italia ed inoltre si acquistava zucchero, cioccolato di qualità superiore come il vero Toblerone, delle stecche di cioccolato con le nocciole o con il ripieno di caffè che risvegliavano noi bambini del torpore del viaggio e per chi voleva, sigarette.
Una Mattina a Chiasso (Svizzera)
Il lunedì di Pasqua era invece dedicato nella mattina a visitare i parenti di Lazzate. La Zia Giacomina era una sorella del nonno Carlo. Io non comprendevo molto dei discorsi che facevano i grandi, ma una cosa che mi è rimasta nei ricordi è che secondo la Zia Giacomina mio padre "aveva fatto i danè" ..La Zia Giacomina con suo Marito, vivevano in una casa familiare vicino ai due figli Felice e Rino entrambi mobilieri . All’ epoca infatti la comasina la strada che da Monza portava a Cantù era costellata di aziende e mobilifici apprezzati in tutta Italia e non solo. Felice aveva in casa nel suo studio due mobili artigianali in legno massiccio intarsiati a mano che ogni volta riscuotevano i complimenti dei miei. Dall’ altra parte, Felice, offriva a noi un Moscato che era talmente buono che anche io ne prendevo un goccio . Poi si proseguiva andando a trovare la Zia Angelina e lo Zio Primo. La Zia Angelina era l’ unica sorella di mio papà. Lo Zio Primo lavorava come molti allora in ferrovia. Dalla Zia Angelina non si poteva non andare a vedere il suo allevamento, in particolare di conigli bianchi bei pasciuti e in salute. Naturalmente come potete immaginare si tornava a casa con una gallina nostrana e con delle uova fresche dove i tuorli erano di un rosso brillante che erano tutte un programma . Infine si passava a salutare la cugina Mariuccia figlia della Zia Giacomina e sorella di Felice e Rino. Nel contempo la Zia Mariuccia preparava il piatto preferito da noi bambini :pollo arrosto con patatine fritte e polenta . Ma come era la casa patriarcale di Lazzate ? La casa di Lazzate era stata costruita alla fine della prima guerra mondiale quando mio nonno tornò da Vittorio Veneto. Venne resa abitabile proprio quando nacque mio padre all’ inizio del 1922. Infatti si dice che mio padre venne portato nella nuova casa nella gerla. La casa era una corte indipendente . La casa era su tre piani di cui 2 abitativi. Partendo dal basso a sinistra vi era la stanza adibita a a studio. Poi vi era allora una scala che portava ai piani superiori. In parte alla scala una porta grigia permetteva di scendere alla dispensa . La dispensa era un luogo fresco dove si tenevano conservati tutti gli alimenti, anche perché a Lazzate il frigo non c’era. Sulla porta della dispensa vi era un famoso quadro dal titolo "fra i tre litiganti il terzo gode", raffigurante una mucca che veniva disputata tra due contendenti, mentre sotto il terzo si preoccupava di mungere la mucca. All’ esterno di questo angolo vi era una bella madonnina. Spostandoci ancora a destra entravamo nel regno del nonno Carlo una stanza laboratorio da falegname con gli oggetti più strani. Sinceramente era la stanza che mi faceva più paura. Questa era anche l’ unica stanza della casa che aveva un grande camino che secondo le intenzioni dell’ architetto avrebbe dovuto riscaldare tutta la casa. Proseguendo vi era la sala, punto centrale della casa , ove vi era un grande tavolo , un divano squadrato di legno con rivestimento in tessuto broccato lavorato, la classica credenza con la parte alta a vetrina per contenere tazzine da caffè e bicchieri e con la foto di Papa Giovanni XXIII° e Padre Pio , una piccola cucina a gas e di angolo tra la credenza e la finestra l’ angolo con il lavello e lo stendipiatti. Tra il divano e la credenza vi era un’ altra porta che dava ad un altro ripostiglio che poi si collegava con le stalle ora garage o spazio a disposizione. Infatti vi era in un angolo la stalla per le mucche e davanti vi era questo "garage" ove una volta erano contenuti i carri e carretti per il lavoro. Era in questo garage che allora parcheggiavamo il 1100 perché restasse al fresco per il ritorno Una ripida scaletta portava sopra al fienile/granaio che si collegava con il lungo balcone che percorreva tutta la casa che dava accesso alle camere. Ripartendo da sinistra, la prima era la camera del nonno Carlo e della nonna Regina, la seconda dopo la porta di collegamento della scala che proveniva dal pianterreno era la camera dello Zio Luigi e Zia Mariuccia e l’ ultima sopra la sala era la camera di mio papà e dell Zio Cosma. La stanza era stata lasciata come un tempo. Vi era infatti il pianoforte a muro e l’ Harmonium di mio papà e la sua libreria piena di libri . Sopra vi era il solaio che fino a quel lunedì di pasquetta non avevo mai visto. Di fronte alla casa vi era il negozio . Costruito negli anni 50 era allora il più importante negozio del paese. Vi si trovava di tutto: dalle calze al materasso, dalle pentole ai maglioni pregiati CA – DI che produceva mio Zio. Tra la casa ed il negozio vi era un altro porticato ove vi era la cuccia di Dick . Dick era un cane sempre legato con la catena e che veniva liberato solo di notte. Continuava sempre ad abbaiare ed a girare in tondo al limite della catena. Doveva essere da tanto che girava in quanto si era fatto un solco che ne delimitava il tragitto. Vi era un sistema per zittire Dick. Piazzarsi davanti a distanza ovviamente opportuna e cominciare a guardarlo fisso stando immobile e fermo. Dick naturalmente continuava ad abbaiare e girare finchè cominciava a rallentare la corsa abbassava le orecchie e poi andava a rintanarsi in cuccia guardandoti come per dire : "va bene scherzavo…" Nel cortile poi vi era allora sulla sinistra una pianta di albicocche ed al limite dello scivolo che dava al deposito del negozio un salice piangente.
Il Nonno Carlo e la Nonna Regina. Sullo sfondo la Camera di mio papà al 1° piano e sotto la finestra della Sala
Giù nel deposito lo Zio Luigi teneva il 1100 D blue scuro e la 600 Multipla bicolore blue scuro con il tetto grigio. Ma quel lunedì di pasqua trovammo la sorpresa . Il 1100 era diventato un R sempre blue scuro con l’ interno cuoio. Telaio 1684048 era stato immatricolato il primo di aprile. Profumava ancora di nuovo ed aveva ancora appeso allo specchietto retrovisore il classico targhettino del rodaggio che Fiat metteva nelle vetture. Come mai del cambiamento ? Lo Zio Luigi ci raccontò che fermandosi ad un semaforo mentre andava da un fornitore di Saronno, un tale con una 850 probabilmente distrattosi per la cenere della sigaretta che gli era caduta sui pantaloni, non aveva fatto in tempo a vedere che il semaforo era diventato giallo e quindi rosso e che lo zio si era fermato, quindi bang! L’auto era sistemabile, ma lo zio che all’ auto allora ci teneva preferì cambiarla con la piu’ moderna 1100 R.
mia cugina Reginelda e il 1100 R
Per cui dopo aver mangiato la colomba, aver litigato con Dick e giocato un po’ con il nuovo 1100 giù in deposito, in questo ambiente sicuro e delimitato tutto nostro, ci venne la curiosità di andare a vedere cosa vi era su in solaio. Con il cuore in gola , sapendo di fare una marachella, mio fratello ed io salimmo le scale ed arrivammo su in solaio che era ben illuminato e non incuteva paura. Tra le tante cose trovammo udite udite dei giocattoli !!!.... Si, era una scatola di meccano e una stupenda Jeep a batterie . Rossa con su due Vigili . Uno dei due teneva in mano una cornetta del telefono . Sul fondo della vettura un contenitore con antenna faceva capire che quella era la centrale di trasmissione. La scoperta era tale che non si poteva stare in silenzio. Scendemmo incuranti delle possibili conseguenze gridando : "Abbiamo trovato il tesoro, abbiamo trovato il tesoro!". Dopo lo spavento iniziale , partirono tutte le domande e le sgridate soprattutto dei miei (ma non le prendemmo ) . Morale comunque il rischio valse la pena e ci portammo a casa questo tesoro. Volete sapere come funzionava la Jeep ? . Eccovi accontentati. Il sistema centrale dava il movimento alla vettura in particolare rotatorio. Periodicamente la vettura si fermava emetteva una suono , si accendeva un luce nella centralina posteriore e nel contempo il vigile alzava il braccio con la cornetta. Quando lo abbassava, ripartiva la Jeep.
La prima bicicletta
Premesso che oggi i bambini ricevono tutto, dal triciclo, all’ auto a pedali, al trattorino alla prima montain bike, allora la conquista della prima bicicletta arrivò con la pagella della prima elementare. La bicicletta di produzione artigianale, fu commissionata in mia presenza ai fratelli Migliorati esperti motociclisti Guzzi , che avevano una piccola officina sulla Via Corsica , ove passavamo tutte le mattine per andare a scuola. A quel tempo i mezzi che riparavamo di più erano quei grossi motocarri Aermacchi che si usavano per la manutenzione delle strade, i vari Guzzi Airone e Falcone ed i vari Gerosa che usavano i negozianti per consegnare a domicilio il pane. Non presentai grandi esigenze. Mi proposero una telaio di bici da uomo in dimensione bimbo (ruota del 16) di colore blue. L’ unica mia richiesta era quella di poter avere il manubrio orizzontale, che mi piaceva di più, ma la mia richiesta si scontrò con la paura di mia mamma che prendessi la scoliosi, quindi manubrio tradizionale, campanello e…. rotelle. Si, non ero mai andato in bicicletta, pertanto ritirai la mia prima bicicletta con la sella rossa pagata dai miei 11.500 lire con le rotelle, incurante delle possibili prese in giro di invidiosi bambini del cortile, che magari sapevano andare in bicicletta, però non l’avevano. Un vantaggio però le rotelle l’ avevano. Potevo stare seduto senza dover appoggiare il o i piedi. Così cominciarono le prime uscite in cortile. Io con la bicicletta e mio fratello che si trascinava un enorme camioncione, regalo di Babbo Natale dell’ anno prima, che a causa del rimbombo che creava sui pavimenti con le ruote (e noi ricorderete eravamo al 4° piano) era subito stato portato in cantina. Dopo poco togliemmo una rotella, poi l’altra, poi la classica caduta e poi… via…
Le Vacanze familiari
La definizione di vacanze era legata non tanto al periodo nel quale noi eravamo a casa da scuola/asilo, ma si intendeva il periodo in cui anche il papà era in ferie. Periodo che solitamente coincideva con Agosto. Fino al 1967 le vacanze si facevano a casa. Tranne qualche gita fuori porta se papà era a casa, si alternavano due possibilità: Si andava in Castello ove allora vi era anche lo Zoo. Conoscemmo un bambino che abitava dentro il Castello, figlio di uno dei giardinieri che manteneva vivo l’ambiente, ed era ormai abitudine che quando arrivavamo lo si andava a chiamare e si giocava. Ancora oggi quando passo davanti alle vecchie case dei giardinieri, mi ricordo di uno scatolone dove questo bambino teneva tutti i suoi modellini e … non erano pochi. Qualche volta abbiamo anche giocato a nascondino con mio papà. Un’ altra attività era quella di andare in centro a piedi da casa. Per superare la ferrovia si attraversava una pensilina di metallo che sovrastava i binari. Regolarmente all’ andata ed al ritorno ci si fermava a veder passare i treni. Divertente era quando passavano quelli a vapore allora ancora molto in uso . Era come se si entrasse in una nuvola dall’ aroma di carbone . Dalla pensilina si vedevano gli uffici dei disegnatori tecnici della A.T.B. (Azienda Tubificio Bresciano) tra i quali vi era anche nostro Zio Gianfranco il fratello piu’ piccolo della mamma , che salutavamo ripetutamente. In centro la nostra meta erano i selezionati negozi di giocattoli che vi erano allora. Negozi dove ogni modellino era un tonfo al cuore . Avevamo trovato addirittura un negozio di articoli in gomma che aveva tutto uno scaffale di modellini della Norev in plastica , uno più bello dell’ altro. Mentre per mio papà si passava in alcune librerie dove andava a vedere se era uscito qualche nuovo libro. Nel ritorno si passava dal Panificio Puerari a prendere dei torciglioni ancora caldi dei quali molti finivano nelle nostre pance prima di arrivare a casa. Ma nel 1968 le vacanze familiari ebbero una variazione di programma. Inaugurando il rito delle partenze mattutine si partì verso Torre Pellice in provincia di Torino. Allora non era ancora aperta la Torino Piacenza pertanto si percorse la A 4 Venezia – Torino. Sosta all’ Autogrill di Novara con il consueto acquisto di pacchetto di biscotti Strudel, ai fichi, della Pavesini. L’autostrada come oggi, finiva proprio a Torino e si fece una tappa in Piazza S. Carlo per poi proseguire verso Stupinigi passando davanti alla Fiat dove allora la presenza di bisarche cariche di auto era ben presente e i piazzali all’ interno erano anch’essi ben carichi di vetture da consegnare. Torre Pellice si trova vicino a Pinerolo è il centro più importante della Val Pellice , una valle chiusa dominata dal Monte Vandalino che si riconosce per una gobba che è chiamata Castelluzzo. La nostra meta era la Foresteria Valdese dove avemmo l’onore di parcheggiare il 1100 D rosso proprio nel cortile centrale e ci furono assegnate due camerette comunicanti al pian terreno. Il pavimento era tutto rivestito in legno, cigolante quando ci camminavi sopra. Due piccoli lettini , un comodino ed un mobile con un’ anta a scrittoio. Quest’angolo diventò per tanti anni il mio punto gioco dove parcheggiavo , a mo? di esposizione (si vede che certe cose uno le ha nel sangue) la serie di modellini che mi ero portato da casa, confezionati uno ad uno per paura che si graffiassero e dotato di panno e Vetril per tenerli puliti. L’ unica mancanza se così si può dire, era il bagno che era nella palazzina di fronte. Un grande bagno con tanto di scomparto doccia ma comunque bisognava attraversare il cortile per andarci. Torre Pellice allora era come una piccola oasi di tranquillità e sicurezza. Le camere potevano essere lasciate aperte che non ti toccava niente nessuno, potevi passeggiare e giocare la sera al parco giochi senza paura di fare cattivi incontri. Insomma quella normalità di sicurezza della quale oggi sentiamo molto la mancanza…. Conoscemmo due bambini tedeschi Andreas e Barbara. Erano i figli del Pastore Evangelico Friederic Siska di Leverkusen e venuti dalla Germania con un Maggiolino ovalino trasformabile. Sebbene ne noi spiaccicassimo una parola di tedesco, ne loro di Italiano, per il potere della giocosità dei bambini giocammo sempre insieme. Un giorno papà decise di portarci al Rifugio Barbara una località, che si diceva molto bella. Venne anche il Pastore Siska con la famiglia. Anzi fece lui da apripista con il Maggiolino. Un recente nubifragio aveva fatto crollare un ponte in legno che collegava Bobbio Pellice con la via per il Rifugio Barbara. Il Comune visto anche la scarsità di acqua che vi era nel fiume lo aveva leggermente deviato e praticamente si guadò il greto del fiume. La marmitta del Maggiolino però non gradì molto la cosa e un piccolo bozzo restò di ricordo.
Sulla strada per il Rifugio Barbara
La strada divenne subito irta, non asfaltata e senza protezioni. Ad ogni tornante si diventava sempre più silenziosi, anche se il panorama diventava sempre più bello. Dopo un’ ora di salita con il papà che teneva un occhio attento alla famosa spia, il Pastore in uno slargo si ferma. Papà ci disse : " Adesso vado a dirgli che conviene che torniamo indietro è troppo brutta la strada!..." Papà va a parlare con il Pastore Siska. Il Pastore , annuisce, dice una frase come di conferma, sale in macchina e riparte. Papà arriva e ci dice: " Ho perso il filo del suo discorso ho solo capito : 5 minuten, 10 minuten , 100 minuten . Poi mi ha sorriso ed è salito in auto !…" Ripartiamo sempre più in apprensione, incontriamo anche una 500 f bianca con tanto di portapacchi e fascine di legno sopra che ci passa appena, appena … Un’ altro tornante, poi un’ altro ancora, in seconda non ce la fa più bisogna inserire la prima, … quando dopo una curva si apre la radura, la spia dell’ acqua sbarbella per un attimo… Ce l’ abbiamo fatta … siamo arrivati !!! Capimmo poi la traduzione del Pastore. Egli voleva significare che essendo arrivati lì costasse il tempo che ci voleva bisognava arrivare in cima ed in cima arrivammo. Il posto era davvero bello. La temperatura era frizzante, l’acqua del torrente era tagliente come la lama di un coltello. In compenso il profumo della montagna era pieno ed intenso. Aprimmo anche il cofano del 1100 per fargli prendere una boccata di ossigeno. Acqua non ne aveva consumata e questo era un buon segno. Poi con calma rientrammo verso la base. Parleremo ancora di Torre Pellice. La cosa grandiosa di queste ferie è che non finirono con Torre Pellice. Al ritorno ci fermammo qualche giorno a Lazzate e trovammo un’ altra sorpresa…
Il Fiat 600 T
Il Multipla non c’era più. Al suo posto trovammo un nuovo Fiat 600 T rosso corsa. Telaio 145302 era stato immatricolato il 1° di maggio, dopo che lo Zio Luigi aveva venduto il 600 Multipla al cugino Felice. Infatti il Multipla lo ritrovammo a casa di Felice , sporco con il portapacchi e ricordo che il paraurti posteriore stava prendendo ruggine. Il 600 T motore 750 era omologato 8 posti ed aveva un sibilo simile a quello della 850. Lo Zio lo aveva immatricolato con l’ uso promiscuo e i sedili centrali li teneva ripiegati e quando andavamo con lui , io e mio fratello stavamo sul sedile posteriore proprio dietrio al motore e questo spazio libero faceva sembrare ancora più grande questo piccolo pulmino familiare.
Una libera interpretazione modellistica della casa di Lazzate
Che giocate . Anche il 600 T aveva appeso il tagliandino del rodaggio e tutte e due avevano il classico plaid sullo schienale. Cogliemmo in quei giorni l’ occasione di fare alcuni giri in Svizzera in compagnia di mia cugina Reginelda.
Di particolare la visita alla Svizzera in Miniatura piena di trenini in movimento rimasero nel cuore come ricordo indelebile.
La prima simpatia
Il 1° ottobre 1968 iniziavo la seconda elementare. Un problema di ritardo nei lavori di adeguamento degli impianti della Scuola, comportò che per una decina di giorni fummo ospitati nella Scuola elementare di Viale Piave adiacente alla Piscina omonima. Il trasferimento era curato dai pulman della S.A.I.A una azienda che si occupava del noleggio per brevi tour. I pulman Fiat erano azzurro cenere ed un paio amaranto scuri e fu il secondo giorno che accadde un fatto che aprì la mia mente ed il mio cuore a nuove emozioni. Nel salire sul pulman arrivato circa a metà rimasi colpito da una bambina con una mantellina rossa, capelli lunghi e biondi … . Era seduta in parte ad una compagna di cortile che salutai per avere la scusa di chiedere: "Chi è cappuccetto rosso ?"La bimba sorrise e mi disse con una dolce vocina : "Mi chiamo Antonella Clerici". "Carlo Carugati" risposi. Poi ammutolito proseguii e andai a sedermi. Ma qualcosa era successo era scattato un meccanismo che ritroverò nella mia vita anche altre volte , anche per alcune automobili, dicesi colpo di fulmine. Tornato a casa, pensa che ti ripensa, non trovai altro che prendere dei fiorellini salvati da mia madre da alcune bomboniere matrimoniali e donarli con gesto di apprezzamento il giorno seguente a questo bel fiorellino biondo del quale coltivai la simpatia e di cui persi presto le tracce, ma non il ricordo.
Il primo incidente del 1100 D
Il 4 Ottobre , festa di S. Francesco d’ Assisi non si andava a scuola e quella mattina la mamma ci aveva portato dalla nonna Adele perché doveva andare a fare delle commissioni. Quando si andava dalla nonna Adele al mattino si andava dal panettiere che stava dietro al mulino. Il pane veniva fatto con la farina del mulino e mio fratello ed io prendevamo oltre al pane "la stella", che altro non era che un grossa pasta secca con al centro la marmellata , una metà ricoperta di cioccolato e l’altra cosparsa di zucchero. Eravamo appena rientrati, quando arriva il papà.. "Mi hanno tagliato la strada !… esordisce" Un disgraziato , nemmeno assicurato (all’ epoca non era ancora obbligatoria l’assicurazione) gli aveva tagliato la strada prendendolo sul parafango destro. Danneggiato quindi , il parafango, paraurti e si era rotto un attacco dei fendinebbia. Il danneggiatore proprietario di una 600 D azzurra aveva invitato mio papà a portare la 1100 da un suo amico la carrozzeria Ragni che era in realtà una carrozzeria industriale dedita alla trasformazione di veicoli commerciali , montaggio di cassoni ed altro. Rammento il 1100 appena riverniciato di paraurti e frontale con a terra il paraurti danneggiato con i due fendinebbia smontati e ancora incelofanato il paraurti nuovo pronto da montare. I fendinebbia non vennero rimontati e finirono in cantina dove li ritroveremo tra molti anni . Il 1968 si avviava alla fine. Avendo imparato a scrivere, d’obbligo la letterina a Babbo Natale. Per decidere cosa chiedere papà mi aveva preparato un minuscolo block notes e ci recammo alla Upim che allora era uno dei grandi magazzini più importanti, per visionare il reparto giochi. Quì mi innamorai perdutamente della Fiat 124 Turchese filoguidata della Pocher. La vettura era ben proporzionata con le gomme intarsiate, con le coppe ruote asportabili. Il filocomando era come un piccolo cruscotto con la riproduzione del volante del 124 , il disegno del contachilometri ed il cambio di velocità al volante. Cosa ancora più entusiasmante che all’ accensione anche i fari anteriori si illuminavano.Inoltre erano riusciti a riprodurre in parte il suono del motore del 124. Non vi furono dubbi che quella fu la mia prima richiesta scritta personale a Babbo Natale. Richiesta che fu naturalmente esaudita. Da quel giorno il 124 diventò il mio mezzo di "spostamento" in casa: per andare a mangiare, per andare in bagno, per andare a vedere la televisione. Prima di andare a dormire lo parcheggiavo nel suo garage che altro non era che la sua confezione dove avevo aperto un lato a mo’ di basculante . Arrivò così il 1969...
Carlo Carugati
Continua...